L’ordinanza 205 e la privatizzazione della città

Uno scritto composto da una presentazione dell’ordinanza 205 (l’"Ordinanza Marinello") e una riflessione sulle dinamiche connesse ordinanza/città/commercio emerse a Domodossola.

caccia ai poveri

1. L’ORDINANZA 205
Nella scorsa estate diverse amministrazioni comunali promulgavano ordinanze per combattere lavavetri ed elemosinanti, giustificando provvedimenti classisti e xenofobi con la lotta ad un presunto "racket delle elemosine", la cui esistenza veniva smentita addirittura da questure e prefetti. In questo turbinio di isterismo securitario si distinguevano, come prevedibile, i sindaci leghisti del Nord Italia. Non volendo essere da meno il sindaco di Domodossola, il leghista Michele Marinello, in autunno si è accodato ai provvedimenti dei colleghi emanando l’Ordinanza 205 sulla falsa riga di quelle scritte dai compatrioti padani.
L’ordinanza è stata preceduta da interventi di Marinello sulla stampa locale in cui affermava di voler combattere «fracassoni e mendicanti» e dipingeva i poveri che chiedevano l’elemosina in città come truffatori: sono «spesso possessori  di macchine di grossa cilindrata o di camper parcheggiati alle porte della città -e di conseguenza- truffano la nostra gente simulando una povertà inesistente». Diffondendo leggende urbane della stessa autorevolezza delle chiacchiere da bar preparava la strada a provvedimenti repressivi come l’ordinanza 205.

L’Ordinanza 205
L’Ordinanza 205 è articolata in 7 punti  che, tra le altre cose, vietano di: «
Sedere o sdraiarsi nelle strade, nelle piazze, sotto i portici, sulle soglie di edifici pubblici, delle chiese e delle abitazioni private per mangiare, dormire, compiere atti contrari alla nettezza al decoro o alla moralità ivi compreso l’accattonaggio o la questua o comunque ogni forma di pressione molesta sul pubblico allo scopo di ricavare utilità
«Sostare con campers, caravan o roulottes in aree non autorizzate dall’Amministrazione
«Bivaccare o sistemare giacigli  «Passeggiare e sostare a torso nudo o in maniera non decorosa
».

«Tutto il mondo è un palcoscenico e la strada è il più legittimo» sosteneva Charlie Chaplin in uno dei suoi migliori film. Non deve pensarla così Marinello, che tra le altre cose ha vietato anche ogni forma di esibizione di artisti e musicisti di strada.
Le violazioni dell’ordinanza che non sono reato sono punite con una multa che va da 51,64 a 516,45 euro. La polizia municipale è incaricata «della sorveglianza e dell’esecuzione» del procedimento.

L’Ordinanza è stata scritta, stando a quello che il Sindaco stesso afferma nella premessa del protocollo, per difendere il «decoro, la decenza e la moralità», che sarebbero gravemente minacciati, mettendo addirittura a repentaglio «la sicurezza e l’ordine pubblico» e determinando  «disagio e criticità igienico sanitarie». Domodossola secondo Marinello è gravemente malata perché carente di ordine e sicurezza e solo una terapia forte come  l’ordinanza e il pugno di ferro possono guarirla. Ovviamente questa descrizione in toni apocalittici della città è falsa e totalmente mancante di ogni confronto con la realtà; ed è lo stesso Marinello ad ammetterlo se si sfoglia il suo programma elettorale. Quando doveva difendere l’operato della giunta uscente di centrodestra, a proposito della sicurezza scriveva: «Domodossola vive fortunatamente una situazione che si potrebbe definire "sotto controllo"».
In più l’Ordinanza è volutamente vaga e non definita. Il Sindaco non ha mai spiegato in che modo il «decoro, la decenza e la moralità» siano minacciati né chi sia a mettere a repentaglio l’ordine pubblico. Marinello seguendo il filone nazionale della fittizia "emergenza criminalità" inventa un problema che non esiste pur di giustificare provvedimenti restrittivi austeri che altrimenti sarebbero difficilmente comprensibili e considerati irragionevoli. Insomma, diffonde la paura per poter vendere meglio la sua presunta cura: la repressione.

La città dei turisti
Da ciò che il sindaco ha spiegato alla stampa e nell’ordinanza emerge chiaramente la sua concezione della città.
Nella premessa della 205 afferma che «la Città di Domodossola ha forte vocazione turistica e che durante tutto l’anno si susseguono una serie di manifestazioni e iniziative di carattere culturale e popolare che, per la loro valenza, richiamano sempre maggiori presenze di visitatori».
Domodossola è dunque una meta turistica e non si può certo permettere che la visita dei turisti/consumatori (sempre che abbiano con sé del denaro da spendere) sia disturbata dalla presenza sgradita di qualcuno che non vive in decorosa prosperità.
In più cerca di eliminare ogni spazio di aggregazione che non siano bar o altri spazi privati gestiti da commercianti, vietando di sedere sui gradini e sostare per mangiare. Oltre a bandire mendicanti, ambulanti e tutto quello che si discosta dal canone di ciò che è gradito con un’ordinanza medievale, cerca quindi di annullare dalla "città dei turisti" anche ogni impulso alla socialità gratuita di chi vive quotidianamente la città e di atrofizzare ogni possibilità di rapporto tra i reietti e gli abitanti (forse incontrandosi possono scoprire di non essere così diversi e di avere in comune desideri e avversità?).
Infatti «risulta indispensabile salvaguardare con ogni possibile azione il tranquillo svolgersi delle attività quotidiane da parte della cittadinanza e [soprattutto ndA] dei visitatori».  Domodossola non è una città per tutti; è anzi una meta esclusiva, nel senso che esclude chi non è alla sua altezza.

La città dello shopping
«Domodossola città dello shopping» annunciava uno spot del Comune trasmesso dalle emittenti televisive locali in contemporanea con i saldi invernali. Si deve sviluppare il «centro commerciale naturale» ripeteva Marinello dalle pagine dei giornali, ribadendo la sua idea di trasformare il centro della città in un enorme spazio commerciale aperto, dove concentrare la circolazione e l’accumulo della merce e della ricchezza per pochi e l’attenzione di telecamere e polizia per gli altri.

Particolare: lo stesso sindaco Marinello è il gestore di un esercizio commerciale in centro città.

 


2. LA PRIVATIZZAZIONE DELLA CITTA’

"Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure"
Italo Calvino

L’Ordinanza 205 non è un episodio a sè stante. E’ un segnale importante per comprendere la logica delle trasformazioni in atto nella città. Queste, proseguendo lungo strade complementari, il dominio del commercio sulle dinamiche urbane e la messa al bando degli indesiderati, cercano di arrivare ad un unico risultato: la privatizzazione dello spazio pubblico.

L’Ordinanza 205 è lo strumento migliore per rispondere a precise esigenze di gestione, giustificando come interesse generale della collettività quello che è l’interesse particolare dei detentori degli interessi commerciali e del loro investimento più grande: i decisori politici cittadini; non è un caso che una delle disposizioni più importanti prese nel primo bilancio comunale del sindaco/commerciante Marinello sia stata proprio l’eliminazione di tasse a favore dei colleghi bottegai (la "tassa delle tende"). Nello stesso momento, a causa del colpevole mancato rispetto del patto di stabilità, viene quadruplicata l’addizionale Irpef che colpisce in maniera diretta i redditi dei lavoratori dipendenti che resiedono in città. Davvero preoccupante se si tiene conto della moltitudine di lavoratori subordinati (precari e non) e delle loro famiglie che precipita ogni giorno verso la povertà.

I poveri, siano essi nullatenenti, elemosinanti, "immorali" o "indecorosi" (la povertà è decorosa quando relegata lontano dalla vista?), sono messi al bando, alla stregua di intrusi che sono dove non dovrebbero essere. Con la loro sola presenza deturpano l’immagine da cartolina costruita ad uso e (soprattutto) consumo dei visitatori/clienti, con ripercussioni negative per gli affari dei commercianti. Si spende meglio in una città dove la povertà è tenuta nascosta e confinata alle periferie; tant’è vero che i poveri "indecorosi" non sono tollerati specialmente in centro*, nel cuore della città-vetrina: spazio nodale del commercio cittadino, dove è concentrata l’attenzione della polizia e del sistema di controllo delle telecamere comunali a circuito chiuso.

La città è, nonostante tutto, ancora formata da spazi pubblici che in teoria rimangono tali ma che iniziano a diventare l’estensione delle attività commerciali presenti. Queste tendono a dominare il territorio a cui appartengono. Prima di tutto affermando il primato degli interessi privati su quelli comunitari; in seguito selezionando l’accesso alla città-vetrina escludendo chi non risponde a criteri imposti di «decoro, decenza e moralità».
Il cittadino è il prodotto di molteplici fattori tra cui l’interazione con l’ambiente in cui è costretto a vivere. Cambiando la destinazione d’uso dell’ambiente urbano, che passa dall’essere spazio sociale a vetrina commerciale, si modificano gli equilibri sociali; se si impongono dei modelli di comportamento standardizzati che escludono chi non rispetta i sovracitati criteri d’accesso per raggiungere più turisti e compratori possibili, risulta evidente in che modo vengano modificati anche i bisogni e le percezioni di chi abita la città. Di fatto la comunità di abitanti si trasforma in una comunità di clienti, e solo in quanto tale vengono ad essa riconosciuti bisogni e necessità. Prima tra tutte la necessità di poter comprare in tranquillità in uno spazio urbano percepito come sicuro e decoroso.

Proprio questa è la perdita maggiore degli abitanti: la città subalterna al mercato è costretta a rinunciare al suo ruolo di agorà, che non a caso nella Grecia classica aveva il duplice significato di piazza e assemblea.
Nei fatti i rapporti sociali che non hanno nulla a che vedere con una (lecita) transazione monetaria vengono censurati ed ostacolati, fino a far diventare sospetta la sola presenza nella città-vetrina di chi ha l’apparenza di non poter comprare qualcosa. Non è nello spazio pubblico che è consentito sedere sui gradini, nelle piazze o sotto i portici di piazza Mercato per condividere pensieri e progetti.
Ed è a questo punto che si manifesta il paradosso della città del consumo: le città privatizzano la loro destinazione d’uso e gli abitanti cercano spazi pubblici nei centri commerciali, privati per definizione ma che diventano il luogo primario della socialità. Sono da vedere in questo senso le masse che affollano la domenica, nelle ore libere dall’esigenza del lavoro, i centri commerciali della provincia: Val d’Ossola Shopping Center, Centro commerciale Sempione, Centro Commerciale Due Laghi. Del resto queste cattedrali della società dei consumi sono progettate per essere delle "città nelle città"; la città vera è percepita come inospitale e pericolosa e i centri commerciali ne diventano il surrogato, garantendo inoltre l’illusione della sicurezza con guardie armate e telecamere a completare la farsa.

Intanto l’ordinanza 205 sembra essere destinata a non rimanere un episodio isolato nel Vco. L’allontanamento dei poveri indecorosi dal centro di Domodossola inizia ad essere un modello per i bottegai degli altri centri della provincia. Nel frattempo i commercianti di Verbania raccolgono firme per cacciare chi chiede l’elemosina, subito supportati dai politici locali. Stefano Gaggiotti, presidente della Casa del Cittadino (Forza Italia) spiega ai giornali ("La Stampa" ediz. Vb 18/07/08 pag. 56): i poveri "si piazzano davanti alle vetrine, provocando un danno al commercio e nessuno può intervenire perché pare godano tutti dello status di rifugiato politico". E’ la loro stessa presenza il cuore del problema: gli indesiderabili non possono stare nella città-vetrina. Terrorizzano i bottegai che temono un calo dei loro affari e l’allontanamento dei clienti facoltosi. D’altronde non può certo essere un posto di classe quello che permette a certa gente di sostare impunita. Non ci sono alternative: i reietti della città devono sparire dal centro perché danneggiano il business dei commercianti; devono essere cacciati e relegati in luoghi che meglio si adattano a chi non è gradito, specie se povero e straniero.

C’è ancora posto nei ghetti?

 


*Di fatto la città risulta divisa in almeno due parti. Una centrale (la "città-vetrina" ad uso dei turisti) che è la zona produttrice di ricchezza e attrattiva, sorvegliata a vista da forze dell’ordine e telecamere, dove sono concentrate le attività commerciali, finanziarie e culturali: le banche, le gioiellerie, i negozi di moda, i locali di tendenza, l’unico cinema della città, le librerie… E una zona periferica formata dalle frazioni (Calice, Vagna, Badulerio…) e dai quartieri popolari (Cappuccina), quelli dei palazzoni dei meridionali immigrati dagli anni ’50, spesso lasciati nel degrado, dove le uniche attività presenti sono qualche bar/tabacchino e panetteria.

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