«L’Iraq ha tutte le potenzialità per generare flussi di turismo verso il nostro territorio» Senatore Valter Zanetta, PdL [0]
Si è recentemente svolta a Stresa, alla presenza del ministro della giustizia irachena Safa al-Safi, la cerimonia di chiusura del corso per divulgare ai funzionari di polizia carceraria irachena “i principi del sistema giudiziario e penitenziario italiano per favorire lo sviluppo della democrazia in Iraq”[1]. La cerimonia è avvenuta nelle lussuose sale del Grand Hôtel des Iles Borromees alla presenza delle autorità politiche e militari del Vco. Così come l’anziano Mentore consigliava dall’alto della sua esperienza Ulisse nell’Odissea omerica, il sistema penitenziario italiano, nella scuola di formazione per secondini di Verbania, veste i panni del vecchio saggio, elogia il suo modello carcerario e lo propone ai burocrati dell’Odissea irachena.
[Galere umanitarie]
«Alcuni aspetti del diritto penitenziario iracheno, contrariamente a quanto si crede, sono molto più avanzati di quello italiano» Michele Rizzo, direttore della scuola di polizia penitenziaria di Verbania[1]
Condizioni di vita durissime, mancanza di adeguate cure mediche, celle che ospitano il doppio dei detenuti rispetto alla loro capienza regolamentare, pestaggi e maltrattamenti, malasanità: i carceri italiani si rivelano ogni giorno un incubo per chi si trova rinchiuso dietro le sbarre, tanto che i suicidi sono venti volte più frequenti che all’esterno. Il carcere è il luogo deputato a somministrare la sofferenza come pena a chi ha trasgredito le leggi: se dovessimo giudicare i princìpi che reggono il sistema penitenziario italiano – e che dovrebbero “favorire lo sviluppo della democrazia in Iraq” – dalle conseguenze che direttamente producono, allora risulterebbero essere piuttosto perversi.
Dopo aver esportato in Iraq la democrazia è indispensabile esportare il modello carcerario che le è proprio. Il carcere è infatti un importante strumento di gestione della separazione sociale su cui si fondano le democrazie liberiste[2]; c’è un dato che rende l’idea dell’importanza dell’apparato penitenziario nelle democrazie: gli Stati Uniti spendeno più per tribunali, carceri e polizia che per sanità, istruzione e welfare. In Italia il numero dei reati è in diminuzione, ma il tasso d’incarcerazione continua a salire: 100 detenuti ogni 100mila abitanti; nel 1990 erano 45[3] ed il numero dei reati sensibilmente più elevato. I paesi che hanno la più alta percentuale di detenuti rispetto alla popolazione sono tutte democrazie liberiste: Stati Uniti (686 detenuti ogni 100mila abitanti, in carcere i bianchi sono una minoranza e nel paese ci sono più detenuti che contadini), Isole Cayman (664) e Russia (638). Una produzione che cresce costantemente, quella dei detenuti: chi non è necessario al ciclo produttivo e non può contare su nessuna rete di solidarietà spesso finisce in carcere, che assolve così al suo ruolo di discarica sociale.
Nel sistema penitenziario ritenuto esemplare e degno di essere esportato altrove (dai ministri di giustizia, non certo dai reclusi) la questione all’ordine del giorno è la sopravvivenza. Non c’è spazio per la "rieducazione del condannato”, seppure sia prevista come scopo della pena dagli stessi legislatori che gestiscono le carceri del paese[4]. Ma forse, dopotutto, non è il caso di preoccuparsi troppo: alle carceri democratiche gli iracheni sono già abituati. Hanno avuto modo di conoscere i princìpi che le animano di persona – tra una sevizia e l’altra – ad Abu Ghraib.
Anche i carcerieri locali alle dipendenze del ministero di giustizia iracheno hanno imparato presto, dagli esperti angloamericani, la gestione delle carceri in democrazia. Il colonello Carmelo Burgio, comandante dei carabinieri paracadutisti del Tuscania, in un’intervista al Corriere della Sera del 12 maggio 2004 rilascia dichiarazioni preziose per capire le condizioni di detenzione nel carcere della provincia di Dhi qar, sotto il controllo italiano: «[…]Quel carcere era spaventoso. I detenuti erano ammassati dentro stanzoni cupi. Almeno trenta in ogni camerone. Erano sporchi, affamati, pieni di pidocchi […] più volte abbiamo riscontrato segni di torture sui detenuti […]» «[…]Per la polizia irachena accogliere un arrestato con una trentina di legnate era una pratica normalissima[…]» «Ci siamo trovati a volte davanti a detenuti mezzo morti, con bruciature di ferro da stiro sul corpo e lividi terrificanti a causa delle bastonate. Non era solo la polizia irachena a usare la mano pesante. I più bestiali erano alcuni gruppi di miliziani legati a formazioni politiche [come il Badr Corps e al-Dawa, in coalizione con al-Safi di cui parliamo in seguito N.d.A.] che si arrogavano il diritto di svolgere compiti di polizia per mantenere l’ ordine. Spesso la loro attività consisteva nell’ andare a scovare esponenti del vecchio regime per compiere vendette. Li trascinavano in qualche sotterraneo e li sottoponevano a sevizie di una ferocia inimmaginabile».
[Terrorismo democratico]
“Chi controlli il potere non ha nessuna importanza, ove la struttura gerarchica rimanga inalterata” George Orwell, “1984”
La presenza a Stresa di Safa al-Safi rivela altri aspetti interessanti. Il ministro di giustizia iracheno, già ministro di stato per gli affari parlamentari, che il Fco britannico (Foreign and Commonwealth Office) classifica come "sadrist" [5], seguace di al-Sadr[6], è membro dell’UIA (United Iraqi Alliance), la coalizione di partiti religiosi sciiti al governo in Iraq di cui fanno parte organizzazioni fondamentaliste come l’ex SCIRI (Supremo Consiglio per la Rivoluzione Islamica in Iraq) e il partito islamico al-Dawa. I programmi di queste due organizzazioni comprendono l’introduzione in Iraq della sharia e la trasformazione dello stato iracheno in una Repubblica Islamica.
Sia SCIRI che al-Dawa erano considerate organizzazioni terroristiche fino a qualche tempo prima della guerra in Iraq, rivalutate per aver fornito la legittimità necessaria alle truppe americane presso l’establishment religioso e la componente sciita del paese. Il vecchio regime baathista, non avendo un’impronta confessionale, era particolarmente inviso ai fondamentalisti islamici. Entrambi i partiti sono dotati di organizzazioni armate che – al pari di al Qaeda, che per il momento è considerata ancora un’organizzazione terrorista – hanno compiuto diversi attentati, anche contro obiettivi occidentali.
In particolare al-Dawa, nel 1983, attaccò le ambasciate francese e statunitense in Kuwait. Proprio a causa del ruolo avuto in questi attentati un parlamentare di al-Dawa, Jamal Jafaar Mohammed, eletto nel parlamento iracheno nel 2005, è tutt’ora ricercato ed è stato condannato a morte in contumacia dai tribunali kuwaitiani.
Il Badr Corps è invece l’organizzazione militare dell’ex SCIRI (che ha recente cambiato nominazione in SCII) è stato finanziato, armato ed addestrato dall’Iran ed è considerato esecutore di massacri contro i sunniti, la componente islamica minoritaria in Iraq, e di uccisioni di iracheni accusati di essere omosessuali.
I sadristi, neoconvertiti alla democrazia per esigenze di potere, nelle città che sono state sotto la loro influenza nel momento della scomparsa del regime baathista (come Najaf, Karbala e Al-Sadr City) hanno imposto la legge islamica, dato fuoco a cinema e negozi di liquori[6] e messo in pratica "una strategia mirante a terrorizzare sistematicamente la popolazione locale e a costringerla ad aderire al modello di vita islamico. I trasgressori venivano severamente puniti, spesso tramite la flagellazione pubblica; in alcuni casi sono state eseguite anche sentenze capitali, decretate dai tribunali della Sharia sotto l’autorità di Al-Sadr. Gli abitanti della città di Karbala sono arrivati a definire l’esercito del Mahdi [l’organizzazione militare dei sadristi, guidata da Muqtada al-Sadr ndA] peggio di Saddam"[7]
Gli stessi fondamentalisti islamici che solo fino a qualche tempo fa erano considerati i più pericolosi nemici dell’Occidente, responsabili di guerre, attentati e barbarie varie sono oggi in Iraq i migliori alleati dei democratici occidentali. Tra simili ci s’intende sempre; «A voi l’illusione del potere politico, a noi l’egemonia totale dell’area» devono essersi detti i terroristi/democratici d’Oriente e Occidente.
I nemici sono diventati altri nel momento in cui sono mutate le necessità degli invasori[8]: non serve più mostrare sanguinari detentori del potere (per perorare la causa dell’invasione) ma certificare la rinascista democratica del paese (per dimostrare la bontà dell’intervento militare). Al tempo di Saddam sia SCIRI che al-Dawa erano in esilio, da dove organizzavano attentati contro Hussein e le ambasciate occidentali. Oggi, dopo il secondo atto della “war on terrorism” e il ripristino della democrazia, sono al governo dell’Iraq, i loro uomini condannati per attentati sono deputati ed i ministri sadristi della loro coalizione sono accolti con tutti gli onori dalle autorità politiche e militari del Vco, in sfarzosi alberghi sul lago. Tutte unite, le autorità occidentali e quelle irachene, per costruire la democrazia partendo dalle galere.
[0] Commento
superfluo. L’Onorevole Valter Zanetta ai microfoni dell’emittente tv
VcoSat durante la cerimonia di chiusura del corso di formazione,
dicembre 2008
[1] Giuseppe Mazzella, Democrazia e legalità, in «Le Due città», n.11/12 anno VII
[2]
Il carcere è intimamente connesso con il modello societario che vive
oltre le sue mura; le statistiche del Dipartimento d’Amministrazione
Penitenziaria forniscono una descrizione – seppure molto parziale –
della popolazione carcerata: al momento dell’ingresso in carcere solo
una ristretta minoranza dei detenuti ha un lavoro e di questi il 71% è
operaio; le patrie galere detengono più analfabeti che laureati e sono
in pochissimi, dentro, ad avere un diploma di scuola media superiore.
Nelle democrazie il carcere è lo specchio della parte del paese che
affonda; a delinquere e finire in cella è quasi sempre chi sta peggio
fuori: i disoccupati, cioè la manodopera in esubero rispetto alle
esigenze del mercato che non ha la possibilità di produrre per avere in
cambio risorse per assicurarsi l’esistenza, e gli operai, sempre più
poveri e precari, stretti tra il rischio della cassa integrazione e la
perdita definitiva di potere rivendicativo.
[3] Marzio Barbagli, La popolazione detenuta. Mutamenti nel tempo e differenze fra paesi, in «Le Due Città», Dicembre 2000
[4] L’articolo 27 della Costituzione recita:"le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità [ma sono mai esistite galere umanitarie?]
e devono tendere alla rieducazione del condannato". Tenendo conto che
la maggior parte dei reclusi sono recidivi, la rieducazione impartita
nelle carceri della Repubblica dev’essere davvero di scarsa qualità. I
fatti mostrano che la "rieducazione del condannato" è lo specchietto per le allodole impiegato per spostare l’attenzione dalle cause che originano la gran parte dei crimini. Ri-educazione,
come se i detenuti commettessero reati per lacuna di senso civico. Il
crimine è invece il prodotto ineliminabile di un preciso modello
societario. L’esecuzione dei reati è determinata in massima parte dalla
posizione sociale occupata e dalle norme stabilite dai legislatori: chi
si trova nei posti peggiori previsti dalla struttura sociale in cui
vive è l’esecutore più frequente dei reati. Questi sono più o meno
frequenti, naturalmente, a seconda “dalla severità delle pene e più in
generale dalla politica penale che un paese segue (…) [una] politica
penale più severa ha prodotto un aumento del numero di carcerati”.[3]
[5] http://www.fco.gov.uk/resources/en/pdf/pdf18/fco_iraqcp_file il Fco (Foreign and Commonwealth Office) è l’ufficio governativo britannico che si occupa degli affari esteri
[6] Mahan Abedin, The Sadrist Movement, Middle East Intelligence Bulletin, Luglio 2003
[7] Nimrod Raphaeli, Muqtada Al-Sadr e l’establishment religioso sciita, Middle East Media Research Institute, Giugno 2004
[8] Tali sono (o sono state) le truppe di occupazione, comprese quelle italiane «"Ho
cercato di occuparmi di progetti di ricostruzione – denuncia Marco
Calamai, che ha lavorato con il governatore di Nassiriya per un periodo
– ma la ricostruzione non è mai veramente partita. L’America esporta la
democrazia a parole, in effetti ne ha impedito la crescita dal basso".
I nostri carabinieri hanno pertanto scortato barili di petrolio e
sorvegliato oleodotti.» da “La missione "Antica Babilonia" e il petrolio di Nassiriya”, La Repubblica, 13 maggio 2005
Hi, good post. I have been woondering about this issue,so thanks for posting. I
dopo i fascisti e i polici indagati, adesso anche i ministri stranieri… non siamo più isolati! anche il Vco fa parte del mondo!! Festeggiamo (moderatamente)!