Crisi presunta e crisi reale

LA CRISI PRESUNTA

"Non crederemo alla crisi finché i ricchi non inizieranno a suicidarsi come nel ’29"
da un comunicato dei lavoratori della Se.P.R.On.

Bialetti, Tubor, Tracal e Tessenderlo sono solo alcune delle più importanti aziende del Vco che negli ultimi mesi hanno annunciato e operato pesanti tagli del personale, lasciando a casa centinaia di operai e minacciando il posto di un numero considerevole di lavoratori impiegati nelle imprese ferriere e di pulitura dell’indotto. "C’è la crisi dei mercati – dicono – e le imprese ne risentono". In realtà le motivazioni dell’ultima dipartita delle grandi aziende dal Vco sono diverse e in nessuna è contemplata la parola crisi: alcune chiudono per colpa delle frodi fiscali compiute dai padroni, altre delocalizzano spostando la produzione in altri stabilimenti. Scelte volontarie e conseguenti a lucide strategie di profitto, non imposte certo dalle crisi dei mercati.

A guardare gli ultimi dati della congiuntura economica del Vco[1] si scopre che la produzione delle industrie metalmeccaniche segna un andamento positivo del 4,43%, i volumi produttivi dell’industria tessile sono in aumento addirittura del 25,5%. Rispetto allo stesso trimestre del 2007 i fatturati delle imprese con più di 50 dipendenti aumentano del 3,7%, quelli delle imprese del settore tessile e dell’abbigliamento del 13,7%. Oltre alla produzione e al fatturato anche gli ordinativi sul mercato estero sono nettamente positivi: +7,7% con punte del 17,3% nel settore metalmeccanico. Eppure, nonostante gli ottimi risultati di produzione e fatturato si perdono centinaia di posti di lavoro, il ricorso alla cassaintegrazione è in aumento e le previsioni di assunzione nel settore industriale segnano un -1,5%[2].

La crisi c’è davvero, ma è quella in cui si trova la forza lavoro del Vco divisa tra occupazione precaria, disoccupazione e lo spettro della cassa integrazione.

LA CRISI REALE

Strati di popolazione sempre crescenti negli ultimi mesi vengono espulsi dal mercato dal lavoro perché in eccedenza rispetto alle necessità della produzione delle industrie locali. Lavoratori senza lavoro, fuori dal mercato, quindi senza nessun potere rivendicativo da far pesare se almeno questo rimane ancora ai lavoratori subordinati. Spesso l’età avanzata dei dipendenti in cassa integrazione o licenziati lascia scarse possibilità di revocare lo status di disoccupato, soprattutto nel breve periodo. L’incertezza del futuro imprevedibile dei lavoratori dipendenti si trasforma per i cassaintegrati e la manodopera in esubero nella certezza di tempi cupi. Ed è proprio la disoccupazione in età avanzata a trasformarsi in esclusione per chi sente l’inderogabilità di un futuro senza speranza. L’underclass, l’insieme degli individui demercificati senza una funzione nel sistema produttivo locale si percepisce come difficilmente assimilabile con il resto della società, addirittura irrecuperabile. L’aumento della flessibilità, della concorrenza e la percezione dell’altro come una minaccia per il proprio benessere (homo homini lupus, nulla di nuovo) ha prodotto il logoramento delle vecchie reti di solidarietà sociale. Ciò, unito alla perdita di prospettive, trasforma questa sottoclasse in una possibile minaccia per l’ordine sociale.

«Questa mattina un verbanese di 40 anni è stato sorpreso a rubare all’interno del supermercato Uni sito ad Intra. Ad accorgersi del fatto il direttore dello stesso supermercato che ha allertato i Carabinieri. L’uomo aveva sottratto beni di prima necessità, per lo più alimentari, proprio perchè indotto dalla fame(…)»
Notiziario Vco Sat 2 agosto 2008

Verbania è la seconda città d’Italia per i livelli di rischio povertà su 106 comuni capoluoghi di provincia[3]. 4.012 contribuenti verbanesi (il 22,7% del totale, 10 punti percentuali in più della media nazionale) presenta un livello di reddito inferiore alla soglia di povertà locale fissata a 11.847 euro. L’altissimo indice del rischio di povertà locale fa emergere un quadro preoccupante sulle dinamiche dei redditi connesse all’elevato costo della vita nel Vco, che produce una continua erosione del salario reale. Poi ci sono quelli che stanno peggio: i molti che non hanno un lavoro stabile o quelli che un lavoro non l’hanno affatto e che quindi, non producendo reddito, non rientrano nelle classifiche sul rischio di povertà dei contribuenti.

Il reddito disponibile pro-capite delle famiglie residenti in provincia è inferiore di quasi 2.000 euro rispetto alla media regionale e nella graduatoria piemontese del reddito pro-capite il Vco occupa l’ultimo posto, continuando a perdere ogni anno piazzamenti rispetto alla graduatoria nazionale[4].
La continua erosione del reddito e la perdita di valore del salario reale hanno già prodotto effetti perversi negli anni passati: molte famiglie sono state costrette ad accendere mutui e a chiedere prestiti alle banche, alle società finanziarie e alle agenzie di mediazione creditizia (attività che nascono a decine nei maggiori centri della provincia) , spesso senza riuscire a ripagare i debiti contratti.

La sofferenza su impieghi (ovvero il rapporto tra crediti ritenuti inesigibili e prestiti totali concessi, un valido indicatore della solvibilità) nel Vco è nettamente più elevata rispetto alla media regionale (5,1% contro 2,9%)[4], rendendo evidente la maggiore difficoltà nell’estinguere i debiti contratti per chi richiede prestiti nel Verbano Cusio Ossola.
L’incapacità di far fronte alle richieste delle banche di compensazione del debito rappresenta una pressione notevole sui singoli indebitati, su cui grava la minaccia di un protesto: aumenta così la spinta a ricorrere a soluzioni considerate nell’immediato risolutive come prestiti rilasciati dalle reti usuraie presenti sul territorio.
Non è certo un caso se il Verbano Cusio Ossola si trova ad occupare l’undicesimo posto nella graduatoria nazionale delle province più esposte al rischio di usura[5].

Sono almeno 19 nel Vco i casi di usura finiti in Procura dal 2003 ad oggi. Nel 2003 viene effettuato un arresto in flagranza con sequestro di 400 mila euro. Lo strozzino arrestato prestava denaro con interessi del 96%; nel 2005 viene effettuato un fermo per usura con sequestro di denaro e immobili; sempre nello stesso anno viene scoperto un altro strozzino che pretendeva interessi fino al 84%. Nel 2006 viene arrestato un usuraio i cui interessi arrivavano fino al 150% del prestito. Qualche mese dopo, a novembre, viene smantellato nel Vco un vasto giro d’usura in seguito ad alcune indagini partite dall’Ossola. Gli interessi sui prestiti chiesti dagli strozzini variavano dal 40 al 50%. Tra gli usurai arrestati anche un imprenditore bergamasco, volto noto nel suo paese per aver ricoperto incarichi pubblici di particolare rilievo, sorpreso in flagrante mentre intascava una busta di denaro ricevuta da una delle sue vittime. Passa poco tempo e alla frontiera di Iselle viene fermato un altro strozzino in possesso di 658 mila euro frutto dell’attività usuraia e di tassi di interesse che andavano dal 32% al 1200%. Nel 2007 sono stati condannati per usura e altri reati tre titolari di un esercizio commerciale a Omegna.

 

DEINDUSTRIALIZZAZIONE/CONFLITTO SOCIALE/CRIMINALITA’

«La disintegrazione della società del lavoro lascia molti per strada (…) che in ogni caso non trovano alcuna attività che abbia senso per loro. Vi sono quindi le premesse anche troppo favorevoli per un’esistenza ai margini e sempre più fuori dell’ordine del diritto e della legalità. Anche la delinquenza è una forma di individualizzazione dei conflitti sociali»[6]

 

Il conflitto sociale, anche se negato e occultato dai decisori politici locali, è lontano dall’essere soppresso. A partire dagli anni ’80 in seguito alla chiusura delle fabbriche nell’allora Alto Novarese si è diffuso e disperso all’esterno dei cancelli dei luoghi di produzione contagiando le parti più recettive della società. Il conflitto di oggi non ha più la forma di massa di ieri (né qui, né altrove): è un conflitto di piccoli gruppi, spesso individuale. Si esprime in mille modi diversi e può essere ovunque, quindi potenzialmente incontrollabile.

Una delle sue modalità d’espressione è senza dubbio la cosiddetta criminalità. E’ sufficiente dare uno sguardo ai dati del Dipartimento d’Amministrazione Penitenziaria sulla condizione lavorativa e il grado d’istruzione dei detenuti per accorgersene. Solo il 16,4% dei prigionieri al momento dell’ingresso nel carcere aveva un lavoro. I detenuti analfabeti e senza nessun titolo di studio sono cinque volte più numerosi dei laureati e solo il 4,8% dei prigionieri ha un diploma di scuola media superiore[7].

Il carcere è l’istituzione che più di tutte rende manifesto e innegabile il conflitto individualizzato e la separazione sociale. Sono i disoccupati, ovvero la manodopera in esubero rispetto alle esigenze del mercato, e chi ha un basso titolo di studio, quindi con meno conoscenze per sottrarsi al disagio economico, i soggetti più esposti alle volubilità del mercato e di conseguenza i principali portatori di conflittualità. Il ritratto preciso della sottoclasse che l’odierna deindustrializzazione sta generando nel Vco.

Nonostante gli allarmismi pro-ordinanza di sindaci sceriffi e pre-elettorali di deputati locali pregiudicati «la situazione della sicurezza pubblica nella provincia di Verbano Cusio Ossola si mantiene su livelli soddisfacenti»[8], almeno finora.

Almeno finora, perché oggi è la schiera crescente della sottoclasse (i senza reddito, chi vive "l’incubo della disoccupazione e del portafoglio vuoto" e "la difficoltà di arrivare a fine mese", chi si è stancato "anche delle promesse dei sindacati" e di tutti i pompieri sociali di professione) a minacciare la pacificazione della provincia. Si tratta di "delinquenza" autoctona (prodotta e cresciuta in provincia, senza collegamenti specifici con l’immigrazione che nel Vco è di gran lunga al di sotto della media nazionale), la migliore dimostrazione dell’esistenza del conflitto e del fallimento delle politiche sociali e del mito del mercato come generatore ad libitum di benessere, che trae la sua spinta criminogena dalla disoccupazione e dall’assenza di prospettive reali. Fatta quindi da chi ha poco da perdere e di conseguenza altrettanto poco da temere.

 

 

[1]CONGIUNTURA ECONOMICA INDUSTRIA MANIFATTURIERA II TRIMESTRE 2008, Camera di commercio del VCO/Unioncamere Piemonte, 11 settembre 2008

[2]PREVISIONI OCCUPAZIONALI: RISULTATI FINALI DELLA RILEVAZIONE EXCELSIOR 2008,

Camere di commercio/Unioncamere nazionale/Ministero del Lavoro/Unione Europea, 19 settembre 2008

[3]L’indice del rischio di povertà locale, Una analisi per i 106 comuni capoluogo di provincia, Centro Studi Sintesi, Venezia, Giugno 2007

[4]Camera di Commercio Vco, rapporto sull’economia locale presentato in occasione della VI Giornata dell’Economia, maggio 2008

[5]Sos impresa decimo rapporto, Confesercenti, 2007 USURA

[6]Ralf Dahrendorf, Libertà attiva, Roma 2005, pp. 81-82

[7]Dipartimento d’Amministrazione Penitenziaria (D.A.P.) – Ufficio per lo Sviluppo e la Gestione del Sistema Informativo Automatizzato – SEZIONE STATISTICA

[8]Dipartimento della Pubblica Sicurezza, Ufficio per il Coordinamento e la Pianificazione delle Forze di Polizia

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